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[RUGBYLIST] Dal "Corriere"

allrugby allrugby a gmail.com
Mar 13 Mar 2007 14:32:59 CET


Anche il Corriere non lesina commenti al rugby.
Ecco quanto uscito oggi.
Ciao.
Franco (TV)

Negli stadi né reti né protezioni, i tifosi sono mischiati Spot, tifo
e giocatori star: è rugby mania Biglietti introvabili, boom di
iscrizioni tra i ragazzini. Più di un milione per gli azzurri in tv
MILANO — Se ti ritrovi a pubblicizzare sui giornali una cosa che, fino
a qualche anno prima, dovevi pagare di tasca tua, significa che hai
svoltato. L'esperienza, sicuramente piacevole, la stanno vivendo i
giocatori della nazionale italiana di rugby, colpiti da improvviso
benessere e inaspettata popolarità dopo le vittorie nel Sei Nazioni
contro Scozia e Galles. Dovevano comprarsi lo smoking per le cerimonie
ufficiali (la federazione dava un contributo di 800 mila lire), oggi
degli smoking (gratis e su misura) sono diventati apprezzatissimi
testimonial.

Le italiane, gli italiani (e i pubblicitari italiani) stanno scoprendo
una nuova squadra per la quale fare il tifo, soffrire, gioire e sulla
quale investire. Sono i ragazzi del rugby. Grandi, grossi, simpatici e
ora anche vincenti. Sabato scorso la loro partita contro il Galles,
trasmessa su La7, ha ottenuto uno share medio del 10.32% con un
milione e 150 mila spettatori e una media contatti di 4 milioni e 300
mila spettatori. Niente male per un sabato pomeriggio di marzo. «Siamo
di fronte a un vero fenomeno di massa, un'ondata emotiva che sta
contagiando tutta l'Italia come accaduto in passato per la Coppa
America di vela» assicura Antonio Campo Dall'Orto, a.d. di Telecom
Media Italia.
Piacciono i Mauro e Mirco Bergamasco, i Troncon, i Parisse, gli
Scanavacca e i Pez. E se forse il Times ha esagerato scrivendo che
«L'Italia travolta dagli scandali del calcio ha trovato un gruppo di
nuovi eroi dei quali andare fiera», è un fatto che per i rugbisti
molti si siano messi in coda. Alla Borghesiana, il quartier generale
romano dove la nazionale sta preparando la partita di sabato prossimo
con l'Irlanda, l'ultima del Sei Nazioni 2007, piovono richieste per
comparsate televisive e passaggi radiofonici, molte delle quali non
possono essere soddisfatte perché il rugby e le paillettes non vanno
troppo d'accordo e per reggere le battaglie settimanali contro
britannici, celti e francesi bisogna lavorare tanto e bene. Piacciono,
i rugbisti, perché sono meno banali di quanto uno possa aspettarsi
(molti sono iscritti all'università, quasi tutti parlano due, tre
lingue) e perché rappresentano qualcosa, valori per la precisione. Il
loro è uno sport particolare e basta andare una volta a vedere una
partita per rendersene conto.

Negli stadi del rugby non ci sono reti né poliziotti, i tifosi sono
mischiati, gli arbitri non si discutono e i giocatori, dopo essersele
date di santa ragione, si abbracciano e vanno a mangiare e bere
insieme, come vecchi amici, al terzo tempo («La pace più bella del
mondo dopo la guerra» secondo il grande del passato Marco Bollesan).
«Il rugby è duro ma rappresenta i veri valori dello sport» ha detto il
ministro dello Sport Giovanna Melandri l'8 marzo, quando andò a
salutare gli azzurri reduci dal trionfo di Edimburgo. Proprio lassù,
in Scozia, lo scorso 24 febbraio, l'Italia del rugby cambiò la sua
vita perché quella di Murrayfield resta la madre di tutte le vittorie
e l'origine di quello che è venuto dopo. Due i segnali, chiari: la
cascata di messaggi appena finita la partita (da Romano Prodi in giù,
a Gennaro Gattuso e Tiziano Ferro: politica, calcio e spettacolo); gli
applausi al ritorno, a Fiumicino. Cose nuove per un rugbista, abituato
a essere riconosciuto e salutato in Francia o in Inghilterra (dove la
maggioranza degli azzurri gioca) non in Italia. «Adesso però capita
anche a Roma di essere fermati» racconta Sergio Parisse, l'uomo del
match sabato scorso contro il Galles. Cominciano a conoscere i loro
giocatori gli italiani e sempre più italiani cominciano a giocare a
rugby, giovani soprattutto. Nel 2000, anno dell'ingresso dell'Italia
nel Sei Nazioni, i tesserati erano 30 mila. Oggi sono 42 mila.

Il boom di questi giorni non viene dunque dal nulla, ma il ritmo di
crescita si sta impennando. E il problema, adesso, è controllarla la
crescita. Fino a un mese fa il Flaminio, 25 mila spettatori scarsi,
piccola parrocchia paragonata alle cattedrali britanniche, sembrava
più che sufficiente per le partite della nazionale. Adesso non più. I
biglietti non si trovano e la federazione ha dovuto dire no a migliaia
di richieste di gente comune e a centinaia di richieste di gente meno
comune. Giancarlo Dondi, il presidente, si aspetta che qualcosa
succeda e minaccia, in caso contrario, di portare la nazionale a
Bologna. Non sarebbe una bella cosa, ma potrebbe succedere. Quelli del
rugby parlano poco. Ma quando dicono una cosa, di solito la fanno.
Domenico Calcagno
13 marzo 2007
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Responsabilità, sostegno, solidarietà. Sono le parole chiave del
rugby. E i bambini che scelgono questo sport imparano presto a
metterle in pratica. "Ecco perché il minirugby ha un grande valore
educativo" spiega Enzo Belluardo, coordinatore recnico del Chicken Cus
Milano Rugby e responsabile, per Milano, del Progetto Scuole. Chi ha
la palla si impegna al massimo per portarla fino in fondo, per fare
meta e così impara ad assumersi le proprie responsabilità. Hai la
palla e sei in difficoltà? La puoi passare solo all'indietro, ma non
puoi scegliere a chi, devi passarla al primo compagno che è in
posizione migliore e questo favorisce l'integrazione e la solidarietà.
E, infine, tutta la squadra sta dietro al giocatore in possesso di
palla, tutti pronti ad aiutarlo e sostenerlo se si trova in
difficoltà.

Ma non pensiamo che il rugby che vediamo alla televisione sia lo
stesso che giocano i nostri figli. Dai 6 fino ai 9 anni, si imparano i
quattro momenti fondamentali del rugby:
La meta: chi ha la palla deve cercare di appoggiarla a terra nell'area
di meta della squadra avversaria
Il placcaggio a terra: si cerca di placcare solo chi ha in mano la
palla e nel momento in cui questi cade a terra deve lasciare la palla
Il passaggio all'indietro: se chi porta palla è in difficoltà, lancia
la palla a uno dei compagni che stanno dietro di lui per aiutarlo
Il fuorigioco in gioco aperto: i compagni di chi ha la palla devono
stare sempre dietro di lui.
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Quando si inizia (ed è consigliabile farlo a 6 anni, anche se il
Chicken Cus di Milano tiene corsi preliminari a partire dai 5 anni), i
bambini corrono, imparano a eseguire rotolamenti a terra e capovolte,
fanno piccoli giochi di coordinazione e lotta a coppie. Niente
placcaggi. "Non li facciamo 'scontrare' subito" spiega Enzo Belluardo,
"prima imparano a cadere, a rialzarsi, poi ad 'abbracciarsi' e
trascinarsi a terra e così superano la paura del contatto. Al
placcaggio arriviamo progressivamente". Tutte le attività che vengono
proposte sono studiate per sviluppare queste capacità:
equilibrio dinamico: bisogna correre senza farsi prendere, quindi si
deve cambiare direzione continuamente
coordinazione: la palla ovale rimbalza irregolarmente e per prenderla
è necessario sviluppare una buona percezione spazio-temporale
intelligenza emotiva: il contatto con gli altri bambini aiuta a
diventare consapevoli del proprio corpo

Progetto scuole Milano
Per il quinto anno consecutivo, il Chicken Cus Milano Rugby offre
gratuitamente alle scuole elementari e medie di Milano la sua
disponibilità per organizzare corsi di rugby strutturati in 8 lezioni.
Finora hanno aderito sedici scuole.



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