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[RUGBYLIST] IL MIO RICORDO DI DORO QUAGLIO

GIAN DOMENICO MAZZOCATO giandoscriba a tin.it
Mar 8 Apr 2008 08:52:36 CEST


Cari amici,
spero di farvi cosa gradita inviandovi il copia incolla de IL MIO RICORDO DI DORO QUAGLIO apparso oggi nei quotidiani del gruppo EPOLIS per i quali redigo settimanalmente una nota di varia umanità.
Per chi volesse scaricarsi in pdf l'originale, questo è l'indirizzo:
www.iltreviso.it.

un abbraccio a tutti
gian domenico






DE VISU

 

di Gian Domenico Mazzocato*

 

IL MIO RICORDO DI DORO QUAGLIO

 

Venerdì scorso avrei voluto con tutto il cuore essere al Battaglini, lo stadio di Rovigo dedicato al grande Maci, il campione che militò nella squadra della sua città, in Francia, poi a Treviso. Uno dei tremila che hanno dato l'ultimo saluto a Doro Quaglio. Un grande giocatore di rugby e, per me, un amico. Forse non una classe straordinaria, ma un uomo tagliato giusto per stare su un campo con un pallone ovale. Umile e generoso, bravissimo, azzurro come giocatore e come allenatore. Doro era un punto fisso per i compagni, un lottatore nato. Non mollava mai. Riferimento tecnico e soprattutto morale per i compagni e per gli amici, dentro al campo e nella vita. Insomma un eroe per questo sport in cui puoi diventare leggenda senza essere un fuoriclasse assoluto. Doro aveva il senso robusto del sacrificio, voglia di mettere fatica, intelligenza, rischio personale quando gli altri si lavavano le mani. Gli fui vicino in quel 1977 che fu forse l'anno più burrascoso per la nostra nazionale. Gli azzurri persero col Marocco a Casablanca una partita che avrebbero dovuto vincere a mani basse. Allo sbando, dirigenza latitante e dilaniata da faide. C'era una squadra da raccattare dal fango e a farlo si adattò proprio lui, Doro. Alla vigilia di un match fondamentale con la Romania nessuno aveva pensato a trovare un campo da allenamento. Doro fece l'ultima preparazione sul verde di alcuni giardinetti pubblici. A Bucarest i suoi ragazzi presero 69 punti, la peggior sconfitta di sempre. Fu il capro espiatorio, naturalmente, e la sua vicenda di ct si consumò nel breve giro di pochi giorni. Ma lui seppe essere sereno, guardare avanti. Venerdì scorso la sua bara di legno di noce era sul punto in cui si incontrano la linea di centrocampo e la linea di touche. Era quella la sua trincea, lì dove combatteva per conquistare un palla appena uscita in fallo laterale. Era lì che lui faceva la differenza. Il vescovo di Rovigo ha detto che, ad un campione del suo spessore umano, è santo e giusto dare l'ultimo saluto in uno stadio. E due giocatori neozelandesi hanno intonato l'haka, il canto guerriero dei maori che precede tutte le partite degli All Blacks. Tommaso Reato, un giocatore, lo ha invitato a saltare ancora una volta alto in touche, questa volta per prendere la mano del Padre. Lo pensiamo così, Doro, in salto poderoso, per sempre con noi. 

* scrittore

 






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