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[RUGBYLIST] Notizie ... del lunedì

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Mar 23 Dic 2008 13:00:28 CET


Riporto un'altra notizia dal Gazzettino di ieri.
Ciao.
Franco (TV)

MISCHIA APERTA - Scelte verticistiche e modello di sviluppo - di Antonio Liviero

La Fir ha deciso: cercherà di imbarcare la scarna élite italiana in
Celtic league per 12 mesi all'anno.
Non so quanto di celtico ci sia nel nostro impasto etnico ma il punto
non è questo. La scelta accanto ad alcune opportunità comporta
l'adozione, consapevole o meno, di un modello con limiti evidenti di
prospettiva.
Siamo stati ammessi 10 anni fa al Sei Nazioni prima di tutto per
motivi politici (il voto decisivo ai mondiali in Galles in cambio dei
favori, altrettanto decisivi, dei gallesi) e di mercato. Ma ci siamo
entrati da poveracci. In una fase di minimo storico in termini di
risorse economiche, livello tecnico, settori giovanili, arbitri,
allenatori, pubblico, numero di praticanti. Vinta la partita d'esordio
con la Scozia abbiamo dovuto bere bottiglioni di cicuta: 38 sconfitte,
un pareggio, 6 vittorie di cui 4 con i malandati scozzesi. La
liberalizzazione e la strutturazione del sistema professionistico ha
rapidamente ristabilito le distanze con gli altri paesi che l'Italia
di Coste aveva ridotto grazie alle borse di studio in cambio
dell'impegno a tempo pieno.
In quel sistema eravamo e restiamo un'anomalia proprio per le
caratteristiche del nostro movimento prima ancora che per i deludenti
risultati: una base stretta che si regge sul suo vertice, l'equilibrio
impossibile di una piramide capovolta. La federazione ha fatto
benissimo, sia chiaro, a cogliere l'opportunità di entrare nel torneo
più leggendario. Ma l'Italia era ancora tutta da fare.
Purtroppo un vero piano organico di sviluppo per allargare la base e
ristrutturare il vertice non è mai stato fatto o se c'è dev'essere ben
nascosto in qualche cassetto della federazione. Tuttavia dalla scelta
di entrare in Celtic league derivano ora precisi indirizzi per il
futuro. Ed è un peccato che ciò avvenga senza dibattito alcuno tra le
componenti del movimento, pubblico compreso. Era un'occasione di
crescita importante e di ricerca dell'unità, mentre è diventata causa
di ulteriori divisioni con i club che si sentono declassati.
Appare chiaro che si è scelto un modello. Due sole squadre a
rappresentare l'eccellenza al posto delle dieci attuali costituiscono
un indirizzo se non di conservazione, di concentrazione della
ricchezza in poche mani e di modesta crescita di pubblico. A farla
grossa sei-settemila persone a partita, più o meno quante ne fa il
Super 10 in una giornata. Retrocedendo i club in una anonima serie B,
dove anche il dilettantismo tornerà ad essere un problema economico,
si rinuncia, per contro, a un'idea di sviluppo inclusiva, basata sul
progressivo coinvolgimento di più piazze da Udine a Reggio Calabria,
sul potenzuiamento diretto dei settori giovanili, sulle rivalità tra
scuole, tradizioni e tifoserie, sul collante delle identità culturali
e sociali. Fattori tutti legati all'esistenza di una forte
competizione nazionale capace di calamitare talenti, interessi e
passioni.
Non è questo campionato che si vuole difendere ma ciò che avrebbe
potuto diventare con riforme coraggiose e investimenti adeguati. Anche
perchè la Celtic non è la soluzione di tutti i problemi tecnici e
finanziari. Come ci insegna la Scozia con i due-tremila spettatori in
media alle partite delle due franchigie, le magre in Heineken Cup (non
tanto diverse da quelle dei nostri club) e nel Sei Nazioni, i dissesti
di bilancio. Cosa ci garantisce che la Celtic dell'Italia non
assomiglierà a quella degli scozzesi?



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