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[RUGBYLIST] Introduzione al rugby - Il rugby è per tutti

qso a libero.it qso a libero.it
Mer 12 Nov 2008 10:23:29 CET


Ciao, mi è stata chiesta una breve introduzione al Rugby. Qui sotto ve la 
riporto, per conoscenza.

IL RUGBY E' PER TUTTI

Il rugby non è uno sport - è 
un punto di arrivo. O anche un modo di vivere la vita, accettandola per quella 
che è, e che ti regala qualcosa di molto prezioso, qualcosa che dai tempi di 
Adamo ed Eva non si era visto. Ti regala, in tempi di pace, la fotografia della 
tua anima. E il coraggio che ci vuole per giocare a rugby è tutto lì: sei 
disposto a guardarti in faccia? Sei disposto a vedere chi sei realmente?

Il 
rugby parte a un punto fisso, inamovibile: la squadra. Tu ne sei parte, ne sei 
dentro, ne sei disciolto - e una volta dentro voli e ti schianti con essa e per 
essa. Se ti senti monade, lascia perdere. Se ti commuovi perchè ti senti 
rimproverare da un compagno più esperto, perchè non tenendo una certa 
posizione, poi la tua squadra non riuscirà a darti il sostegno, allora puoi 
avere grande soddisfazione.

Chiave dell'approccio, e punto di partenza è 
l'umiltà. Il rugby è gioco umile, fatto di fango e sul fango, dove le trincee 
mobili vengono costruite e disfatte con grande sacrificio degli uomini di 
mischia (le ruck e le maul), dove la palla è vissuta come "opportunità" da 
finalizzare (portandola in meta). La palla: ne fai qualcosa di buono solo e 
soltanto se il compagno a cui l'hai passata ne trae vantaggio. La 
responsabilità è tua - e se la palla la perdi, tutta la squadra ne soffre 
(riposizionamento, perdita di metri, fatica, colpi presi e dati per niente...).


La palla è ovale. E' la metafora della Fortuna: arriva, va, sembra che ti 
segua e poi scarta via, non rimbalza mai dove vuoi tu, ma sopratutto va colta 
al volo, quando la vedi arrivare - senza esitazione. E non è facile. 
Soprattutto all'inizio la paura per la tua incolumità, la paura per il contatto 
fisico, la paura di farti male - insomma la paura ti fa sbagliare, ti fa essere 
titubante, ti iperprotegge. Poi, dopo un po', ti rendi conto che il tuo 
atteggiamento fa del male alla tua squadra. E qui hai due opzioni: o te ne vai, 
o diventi solubile, e ti disciogli nel gruppo - e la palla cerchi di prenderla 
al volo, ti butti, ti fai male (a volte), ti senti parte di un organismo 
superiore.

Dare e ricevere dolore non è per tutti. Ma tutti quelli che lo 
danno e lo ricevono portano rispetto per gli avversari. Così vale per tutti i 
cosiddetti sport di contatto - anche se il rugby, lo ripeto, non è uno sport. 
Vale per il pugilato, le varie forme di lotta, le arti marziali. Dare e 
ricevere dolore è formativo, è educativo, ti permette di conoscere i tuoi 
limiti, di spingerli in là, di avere meno paura, di controllarla meglio, di 
controllare la tua aggressività, di accettare la tua timidezza, di aumentare il 
rispetto per gli altri, siano essi tuoi compagni o avversari. Di rispettare le 
regole.

Le regole: ci sono, sono ben codificate, hanno un margine 
discrezionale non scritto ma che è proprio dell'arbitro. Le regole si 
rispettano. Punto. Chi trasgredisce alle regole (e in campo chi le detta è 
l'arbitro - e fine stop) è punito. Se le trasgredisce costantemente subisce 
quello che non esiste altrove - l'onta di essere allontanato dal campo per 
ANTIGIOCO - per non aver consentito al gioco di fluire, di scorrere, per non 
aver consentito alle due squadre di divertirsi, in primis, e di sfruttare le 
loro opportunità.

Le opportunità possono essere molteplici, compresa quella 
della sconfitta onorevole - altra codifica stravagante del rugby. La palla 
viene passata al compagno soltanto all'indietro, e saranno solo le gambe e la 
caparbietà e l'intelligenza tattica della squadra che potranno portarla oltre 
la linea di meta. Non vi sono altre possibilità. C'è chi scrisse che il rugby 
sta al calcio come la I Guerra Mondiale sta alla Seconda: prima non v'era forza 
aerea, il territorio veniva conquistato con i fanti e la cavalleria.

La 
cavalleria: sia essa intesa come onore per l'avversario, che come gruppo dei 
cosiddetti tre quarti è parte del rugby. Si gioca una partita CON l'avversario, 
non CONTRO l'avversario: il piacere di giocare è reciproco. Alla fine della 
partita è rituale l'incontro in Club House a bersi una birra e a mangiare un 
boccone assieme all'altra squadra. Si chiama Terzo Tempo, dopo i primi due in 
campo, ce n'è un terzo, dove tutto quello che in campo si è fatto e si è detto, 
là resta.

E là resta, sul campo, tutto quello che là deve restare. Qualche 
pugno, qualche rissetta, qualche chiarimento d'idee. C'è l'arbitro, ci pensa 
lui a sistemare le cose, e se deve parlare con le squadre lo fa, comunica, 
spiega, chiarisce le idee, e lo fa attraverso i capitani, che sono gli unici 
che possono parlare con lui.

I capitani, in un gioco come il rugby, sono di 
grandissima importanza. In campo parlano loro, danno loro l'esempio. Basta lo 
sguardo torvo di un capitano per farti cambiare registro in campo. Gli 
allenatori stanno in tribuna, e guardano la loro squadra. Chi è in campo sa 
cosa deve fare. E se non lo sa, alla fine della partita è probabile che avrà le 
idee schiarite.

Il rugby non è uno sport - l'attività fisica che in campo si 
fa è solo preparazione. Il rugby è uno stato mentale. E' propedeutico alla 
vita. Non per nulla i maggiori college inglesi, e le università, contemplano 
fra i loro insegnamenti il rugby - in alcune è obbligatoria la frequenza. In 
altre vi sono esami universitari incentrati sul rugby, che sono parte del piano 
di studio (Trinity College di Dublino, ad esempio, o le più famose Oxford e 
Cambridge). Ti insegna ad essere responsabile, a conoscere i tuoi limiti, a 
controllare la tua naturale paura, a vivere assieme agli altri, a rispettare le 
regole, a rispettare l'autorità, a rispettare l'avversario, a evitare la 
furbata come struttura di vita, perchè miope e a corta gittata, a programmare, 
a studiare.

Giocate, iscrivetevi, non abbiate paura - io peso 20 kg in meno 
del più piccolo nella mia squadra. Cercate un club, portate i vostri bimbi. 
Scoprite un modo nuovo e diverso di stare assieme - e perchè no, di vivere.

Giocate. 

Luca Bonisoli



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