Candido Cannavò, un ricordo

Mentre Cannavò lottava ancora in terapia intensiva, Marco Pastonesi ha scritto questo pezzo sul blog Pane e Gazzetta.

Avevo scritto questo, su Cannavò, per Cannavò, quando ancora lottava in terapia intensiva. E’ sul blog "Pane e Gazzetta", sul sito della Gazzetta. Spero che sia l’idea della semplicità, e dunque della grandezza, del nostro direttore.

Marco Pastonesi

 

La forza di Cannavò

"Ma che minchia vuoi?". Vogliamo un pezzo, un consiglio, un’introduzione, una visita, una prefazione, un’apparizione, una parola, un’idea, un permesso, una sillaba, fosse anche "no". Vogliamo tutto, vogliamo lui. Stracandido sbuffa, insulta, tuona, urla, scoppia a ridere, e non si tira indietro. Mai.

Come un giorno al Giro d’Italia 2003, prima tappa, partenza e arrivo a Lecce, sole e mare, spiaggia, tentazioni troppo forti. Inchiodiamo, scendiamo, attraversiamo, entriamo, mandiamo avanti lui. Perché lui è un passaporto. Lui apre le acque, costruisce ponti, sposta montagne. Infatti lo accolgono a braccia aperte, Michele – credo, il nome del proprietario – lo abbraccia, "Candido!", "Michele!", mai visti prima, eppure come vecchi amici, come antichi compagni di scuola o di trincea. Michele gli procura un costume da bagno, in costume da bagno si torna sulla strada, passa il Giro, passa l’ammiraglia di Carmine Castellano, Stracandido lo chiama, Castellano riconosce una voce familiare, si volta, cerca, trova, trova Stracandido in costume che saluta il Giro, saluta dall’ammiraglia del direttore di corsa fino al camioncino che chiude la corsa, e in mezzo i 200 corridori, poi torna sui suoi passi, sulla spiaggia, in mare, con Michele che lo rincorre, che gli mostra un branzino, che lo invita a pranzo.

Come un giorno in via Solferino, alla "Gazzetta", in mensa, noi e Paolo Vidoz, pugilato, peso massimo, friulano perdipiù, un gran premio della montagna in carne e ossa e anche barba, Vidoz si siede accanto a Stracandido e lo sovrasta, lo soffoca con un abbraccio, lo tocca per sincerarsi che sia vero, "Candido ma allora esisti", "Ma che minchia vuoi?", "Candido ma allora sei vero", "Ma sei suonato veramente", "Sì Candido se no non facevo mica la boxe". E vanno avanti così, proprio come due pugili, tirando e doppiando, parando e ribattendo, legandosi e scrollandosi, fino al gong.

Come un giorno a Rovigo, a casa di Doro Quaglio, al bar con Doro Quaglio, in Comune con Doro Quaglio, e intorno una città, un popolo, un cielo, tutti ovali. Cannavò è stato anche presidente di una squadra di rugby, il Cus Catania, non sa di rugby ma sa di rugbisti, più uomini degli uomini, uomini base per altezza, uomini fuori e dentro, e sa come prenderli, anche in giro. Comincia con un’ombra di vino, prosegue con una firma sulla tovaglia del tinello e un’ombra di vino, continua con una mischia a parole e un’ombra di vino, finisce con un’ombra di vino. Ed è a quel punto che anche Doro Quaglio riconosce il valore di Stracandido.

Con quel giornalismo che sa di marciapiede, con quella energia che sa di povertà, con quella voce che sa di mercato. Ognuno ha un suo Cannavò, ha il suo Cannavò. "Ma che minchia vuoi?". Io voglio Cannavò.

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