Michael Jones

L’uomo di ghiaccio

Il ritorno nella terra degli All Blacks ci porta a conoscere uno di quei ruggers leggendari che con il loro stile hanno cambiato il modo di giocare a rugby. Si tratta di Michael Jones, l’uomo soprannominato “Iceman” per la freddezza con cui rendeva facili le cose più difficili, anche se i compagni preferivano chiamarlo semplicemente “Ice”, a causa delle numerose volte che è dovuto ricorrere all’applicazione del ghiaccio da parte dei sanitari

Michael in campo è stato un giocatore completo: potente come deve essere un avanti, abile nei placcaggi, nel breakdown, nei tackle e nelle Maul, ma anche con più ritmo nelle gambe rispetto a molte ali e con un gioco alla mano degno di un trequarti.  

 

Michael Niko Jones è nato a Te Atatu South, un sobborgo di Aukland, l’8 aprile del 1965.  Già a 10 anni aveva messo in mostra il suo precoce talento giocando per la squadra della Edmonton Primary School, di tre anni più giovane rispetto agli altri bambini, e quando ha iniziato a frequentare la Henderson High School la sua fama di atleta era già nota a livello locale. Ha quindi giocato per il Waitemata Rugby Club e ha fatto parte della rappresentativa di Auckland allenata da John Hart. Quindi, il nostro numero 7 ha debuttato nel Campionato Nazionale Provinciale con Auckland nel 1985, a 20 anni, marcando subito tre mete a South Canterbury.

 

Nel 1986 ha disputato una partita con la nazionale di Samoa in quanto samoano da parte di madre; una gara sola, perché l’anno seguente è stato convocato dall’allora coach degli All Blacks Brian Lochore, che da subito ne ha intuito le enormi potenzialità, per partecipare alla Coppa del Mondo.

 

Il giorno in cui ha debuttato con la felce sul petto, il 22 maggio 1987, contro l’Italia nella partita inaugurale del mondiale (70 a 6), ha segnato subito una meta. La sua ineguagliabile bravura è culminata in una performance straordinaria in finale dove ha schiacciato nuovamente la palla oltre la linea dopo avere tormentato la Francia sia in fase d’attacco che in quella di difesa.

 

L’impatto di questo flanker sul gioco è stato talmente enorme che è diventato praticamente automatico selezionarlo ogni qual volta la Nuova Zelanda doveva affrontare una gara, nonostante la sua forte fede cristiana gli impedisse di giocare di domenica.

 

Nel 1988 Iceman ha continuato con la sua sublime forma segnando mete nelle partite contro il Galles (54 a 9 a Aukland) e l’Australia (19 a 19 a Brisbane); ma nel 1989, dopo che gli All Blacks avevano dominato la mini serie con la Francia (25 a 17 a Christchurch e 34 a 20 a Auckland), e dopo avere marcato la sua prima e unica doppietta contro l’Argentina a Dunedin (60 a 9), nel secondo test contro i Pumas, il 29 luglio all’Athletic Park, Michael ha subito un grave incidente al ginocchio per il quale si è temuto addirittura che fosse necessaria l’amputazione.

 

Per fortuna Jones è riuscito a superare quell’orribile momento, che per lui è diventato una sorta di spartiacque della sua carriera,  ed è tornato ad indossare di nuovo la maglia nera con il numero 7 già nel novembre del 1990, quando la Nuova Zelanda ha fatto visita alla Francia in un’altra mini serie vincendo 24 a 3 a Nantes e 30 a 1 2 a Parigi, dove lui ha marcato una meta.

 

Durante la Coppa del Mondo del 1991 Jones ha segnato nuovamente una meta nella prima gara, giocata contro l’Inghilterra vinta 18 a 12. Purtroppo in quel torneo, nonostante fosse stata la luce più brillante in un pack mediocre, ha giocato solo tre partite in quanto le altre si erano tenute di domenica, come la semifinale contro i Wallabies, dove la sua assenza è stata un fattore fondamentale nella sconfitta dei neri.

 

Dopo il mondiale Michael Jones ha offerto alcune prestazioni stellari: nel 1992 in Sud Africa (27 a 24 a Johannesburg) e nel 1993 contro i Lions (2 a 1 nella serie) e l’Australia (25 a 10 a Dunedin).

Purtroppo le conseguenze delle lesioni subite al ginocchio ed un altro incidente in cui si era fratturato la mascella, gli hanno impedito di partecipare al tour nel Regno Unito del 1993 e anche ai test contro il Sud Africa nel 1994. È tornato giusto nell’ultima gara di questa serie, entrato per sostituire un compagno, in una partita disputata a Auckland che si è risolta in un pareggio 18 a 18.

 

Nel 1995 ha vinto la serie di due test contro l’Australia. Quindi ha giocato e segnato una meta a Bologna, contro l’Italia, dove i neri hanno vinto con l’identico risultato di quello ottenuto al mondiale nel 1987, 70 a 6.

Purtroppo per lui però, Jones è stato costretto a rinunciare alla Coppa del Mondo di quell’anno per colpa delle numerose partite che sarebbero state disputate di domenica.

 

Nonostante l’emergere di Josh Kronfeld, Michael Jones è stato rapidamente reintegrato nella squadra per il tour novembrino in Francia finito 1 a 1. È accaduto lì che Jones è stato spostato da openside a blindside flanker, un cambiamento che ha pagato parecchi dividendi alla Nuova Zelanda. Da quel momento, infatti, con Kronfeld e Zinzan Brooke ha costituito un trio delle meraviglie che, fra l’altro, ha contribuito nel 1996 a garantire agli All Blacks due vittorie contro la Scozia, il primo successo nel Tri Nations, con il magico 43 a 6 contro i Wallabies, e la prima vittoria di una serie in Sud Africa per 3 a 1.

 

Nel 1997 Michael è succeduto a Zinzan Brooke come capitano degli Auckland Blues, ma proprio quell’anno, e anche il 1998, sono stati caratterizzati da altri infortuni, tra i quali un’altra importante operazione al ginocchio per una lesione subita contro Fiji ad Albany, nella partita che ha visto la sua ultima meta in maglia nera.

 

Gli All Blacks hanno aperto il 1998 con una vittoria a Dunedin sull’Inghilterra per 64 a 22, ma in seguito si sono dovuti arrendere all’Australia (24 a 16), al Sudafrica (13 a 3), quindi ancora all’Australia (27 a 23). Proprio quest’ultima gara, disputata a Christchurch il 1 agosto 1998, è stata la cinquantacinquesima e ultima di Michael Jones, il quale per colpa dei numerosi infortuni non riusciva più a reggere con il fisico.

Il suo grande mentore John Hart, colui che a suo tempo lo aveva introdotto nel pianeta rugby e che in quel periodo era diventato coach degli All Blacks, ha voluto ringraziarlo dicendo "Michael Jones è stato il più grande giocatore di rugby che abbia mai visto". Questo punto di vista è stato ripreso da migliaia di fans in tutto il mondo, tant’è che egli è stato votato il terzo più grande giocatore neozelandese di sempre, dietro solo a Colin Meads e Sean Fitzpatrick, mentre in un sondaggio indetto da Rugby World Magazine è stato nominato il più grande Openside Flanker di tutti i tempi.

 

Prima di ritirarsi definitivamente, Michael ha giocato ancora la stagione 1999, nel Super 12 per i Blues e per Auckland nel campionato nazionale provinciale, ottenendo la soddisfazione di arrivare e vincere la finale del torneo.

 

Sempre tranquillo e educato, Jones è stato un modello positivo per tutti, ma in particolare per i giovani delle isole del Pacifico che vivono in Nuova Zelanda. Nel 1990 ha ricevuto una medaglia proprio per il servizio fornito a quella comunità.

 

Nel 1994 è uscita la sua biografia "Iceman -La storia di Michael Jones" di Robin McConnell.

 

Nel 2003 questo uomo di ghiaccio è stato introdotto nella International Rugby Hall of Fame.

 

L’anno successivo, esattamente il 7 aprile, è stato nominato allenatore della nazionale di Samoa in sostituzione dell’altro neozelandese John Boe, del quale Michael, in precedenza, era stato assistente durante la Coppa del mondo 2003.

Dopo il disastroso mondiale del 2007 però, in cui Samoa ha vinto una sola partita contro gli USA per 25 a 21, e soprattutto dopo avere perso contro i loro rivali storici di Tonga per la prima volta in sette anni (19 a 15), Jones ha dato le dimissioni, sostituito dall’allenatore di Samoa Sevens e della Under 19 Niko Palamo.

 

 Giada

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