British&Irish Lions 2009

Come quattro anni fa i Bitish&Irish Lions tornano a casa perdenti. Stavolta però si è chiuso in bellezza.

Come quattro anni fa i Bitish&Irish Lions tornano a casa perdenti, con la consapevolezza che ci vorranno altri dodici anni per poter replicare al Sudafrica campione del mondo.

 

Stavolta però si è chiuso in bellezza. A differenza di quanto accaduto durante la disastrosa tournèe in Nuova Zelanda il corpo di spedizione capeggiato da Ian McGeechan ha strappato la vittoria nel terzo test. Dopo aver perso i primi due.

 

Un bottino senz’altro migliore di quello raccolto da Sir Clive Woodward nel 2005, che oltre a perdere le tre partite con gli All Blacks concesse la vittoria persino alla selezione dei New Zealand Maori.

 

Per la costruzione della squadra McGeechan ha ovviamente tenuto conto dello stato di forma dell’Irlanda vincitrice del 6 Nations 2009. Ne è la dimostrazione la nomina di Paul O’Connell a capitano, il posto di secondo centro riservato a Brian O’Driscoll come del resto il triangolo difensivo dove hanno figurato quasi sempre i vari Luke Fitzgerald, Rob Kearney e Tommy Bowe.

 

Poco importa se gli strascichi della stagione regolare hanno impedito a giocatori come Shanklin e O’Leary di partire per il Sudafrica. Ci sono state belle sorprese e ottime conferme: il gallese Jamie Roberts si è dimostrato un primo centro di grande livello così come Keith Earls, del Muster, dopo un inizio disastroso ha saputo imporre la propria classe.

 

Dopo la disfatta neozelandese Woodward venne accusato di nepotismo nei confronti dei “suoi” inglesi, lasciando da parte il fulcro del Galles che aveva ottenuto il Grande Slam, puntando su un Johnny Wilkinson pericolante al quale erano stati affiancati molti suoi compagni reduci dalla vittoria nel mondiale 2003.

 

 

McGeechan è riuscito a trovare l’alchimia giusta: non ha portato in Sudafrica una legione di giocatori (nel 2005 furono selezionati in 45) ma un mix equilibrato di esperienza (O’Connell, Vickery, O’Driscoll e soprattutto Simon Shaw) ed entusiasmo giovanile (Earls e Kearney).

 

Sembrava tutto calcolato alla perfezione. Gestire un gruppo così eterogeneo di giocatori non è un compito facile. E’ vero che si tratta pur sempre di professionisti ma il marchio di fabbrica rimane: si è Lions  dopo essere inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi. Oppure neozelandesi come nel caso di Ricky Flutey, mediano di mischia nelle giovanili dei tuttineri convocato con la nazionale inglese in virtù dei tre anni di residenza in terra d’Albine.

 

Il primo match di avvicinamento contro Highveld Royal XV ha posto in evidenza il diverso approccio alla gara da parte delle squadre dell’emisfero sud. Nonostante la superiorità nei mezzi tecnici e fisici i Lions hanno dovuto faticare contro un gruppo di giocatori sudafricani tutt’altro che di livello internazionale: l’esperienza nel Super 14 ha fatto sì che per un buona parte del match i leoni britannici si siano trovati addirittura sotto nel punteggio, prima di riportare sulla terra i pur coraggiosi sudafricani.

 

L’evoluzione del gioco si è verificata nei midweek match successivi: un lento ma costante miglioramento. Il gioco si faceva via via più consapevole e deciso e la squadra sembrava pronta per Durban, sede prescelta per il primo scontro con gli Springboks.

 

L’incontro, pur terminando a favore dei padroni di casa, ha messo in evidenza pregi e difetti dei Lions. Da una parte l’efficacia di Tom Croft, chiamato in squadra in seguito alla squalifica di Quinlan, cui ha fatto da contraltare la pessima prestazione del pilone Phil Vickery, ammansito dal diretto avversario Tendai Mtawarira. Per non parlare delle due mete letteralmente “mangiate” da Ugo Monye.

 

E’ nel secondo incontro, quello svoltosi a Pretoria, che i rossi spingono realmente sull’acceleratore: Stephen Jones si dimostra la migliore apertura disponibile e orchestra abilmente i suoi trequarti. Nonostante la meta fulminante dell’estremo irlandese Kearney e la perfetta prestazione al piede di Jones i Lions devono soccombere una seconda volta, tramortiti dal ritorno degli uomini di Pieter De Villiers. Uomo del match in questo caso il giovane mediano d’apertura dei Bulls, Mornè Steyn: un piazzato calciato da più di 50 metri di distanza tramuta una partita estenuante, che sembrava destinata al pareggio, nella rivincita che lava una volta per tutto l’onta subita dodici anni fa.

 

 

Nel finale la musica cambia. Per il test di Johannesburg De Villiers deve fare a meno degli squalificati Burger e Botha e concede spazio ai rincalzi, risparmiando le energie per l’imminente Trinations. Dall’altra parte vi è la squadra dei Lions a pezzi, gli infortuni hanno decimato la prima linea. Per la seconda volta consecutiva Brian O’Driscoll si ritrova a dover concludere anzitempo la sua avventura Lions.

 

 

Vincono e convincono i Lions, salvano la faccia scongiurando il pericolo del secondo whitewash consecutivo. O’Connell e compagni sconfiggono un Sudafrica forse troppo sicuro dei propri mezzi e che ha tenuto in panchina gli elementi migliori. 28 a 9. La faccia è salva e Ian McGeechan afferma con tranquillità che la sua avventura con B&I Lions si conclude qui, dopo 35 anni nei quali ha contribuito come giocatore prima e allenatore poi.

 

 

Si è perso, è vero, ma il rugby dell’emisfero nord ha dimostrato di non avere nulla da imparare dai cugini downunder. E i mondiali del 2011 in Nuova Zelanda sono sempre più vicini. Per i rivedere in campo i Lions dovremo invece aspettare il 2013, quando sfideranno l’Australia.

 

Giorgio Pontico

http://rugbyspot.wordpress.com

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