Italiani, popolo di oriundi e di equiparati

Ogni volta che la Nazionale si trova ad affrontare un test match o una partita del 6 Nations il popolo dei rugbysti italiani si spacca a metà

Le leggi del rugby, queste sconosciute. Ogni volta che la Nazionale si trova ad affrontare un test match o una partita del 6 Nations il popolo dei rugbysti italiani si spacca a metà: il 50 per cento tifa esclusivamente i giocatori nati e cresciuti nel Belpaese mentre i rimanenti si "limitano" a tifare tutti gli azzurri che scendono in campo, indipendentemente dal luogo natìo.

Nonostante la Storia sia una materia curricolare in tutti i cicli scolastici c’è chi si ostina a far finta di non conoscere l’epopea dei migranti italani, durata dalla metà dell’800 fino agli anni ’60 del secolo scorso. La legge dello Stato Italiano riconosce infatti il diritto di cittadinanza a tutti i discendenti degli emigranti attraverso lo Ius Sanguinis: in poche parole se un argentino riesce a dimostrare l’italianità di un suo bisnonno può ottenere la cittadinanza italiana, acquisendo gli stessi diritti civili concessi a chi in Italia c’è nato. Volenti o nolenti la legge è questa e come tale va rispettata. Va bene all’IRB, va bene ai selezionatori, che vada bene ai tifosi.

L’esempio più recente è quello di Craig Gower, giocatore più che trentenne chiamato a vestire la maglia numero dieci della nostra nazionale, che dopo l’addio di Dominguez non ha mai avuto un rappresentante degno (se non, a sprazzi, il miglior Ramiro Pez).

Gower è nato e cresciuto in Australia. Ha giocato una vita a Rugby League, versione con 13 giocatori dello sport cui siamo abituati. In Australia è una celebrità: ha vestito per 14 volte la maglia dei Kangaroos, selezione australiana di Rugby a 13.

Come tanti altri giocatori di League arrivato ad un certo punto della carriera ha deciso di cambiare aria, e anche sport, passando alla versione Union con quindici giocatori, e più zeri sul contratto. Come Lote Tuqiri (ora licenziato dall’ARU e sicuramente in procinto di approdare in un campionato europeo) e tanti altri prima lui ha effettuato la scelta che gli anglofoni chiamano to switch codes, cambiare codice di gioco.

Fortuna volle per noi che un nonno di Gower fosse italiano, di Gubbio per la precisione, e come molti altri connazionali andò a cercare fortuna all’estero, in Australia. Per l’IRB questa ascendenza è sufficiente a rendere il buon Craig eleggibile per vestire la maglia azzurra.

D’altronde Gower era approdato a Bayonne, nel massimo campionato francese, dichiarando espressamente la propria volontà di servire la causa azzurra.

Poco importa se, adesso che la maglia l’ha ottenuta, lo stia facendo per i premi partita o per la gloria. L’importante è aver trovato finalmente un mediano d’apertura completo, che sappia difendere ma anche attaccare la linea. Nel rugby moderno è necessario creare interrogativi alla difesa avversaria per sperare di bucare la fatidica linea del vantaggio: ll line break, quella statistica propria di molti post partita della nostra nazionale che rimane quasi sempre a zero.

Negli ultimi anni l’unico giocatore che aveva avuto questa capacità era stato l’italo-argentino Ramiro Pez: numero dieci talentuoso che però non è mai riuscito ad esprimere al meglio il suo potenziale.

Accantonato Pez dopo l’ultima RWC, lo scienziato pazzo Nick Mallett, allora neo allenatore dell’Italia, aveva proposto Andrea Masi, un ottimo primo centro, nel ruolo di mediano d’apertura: un disastro.

E’ stata poi la volta di Andrea Marcato, eterna promessa del nostro rugby. Buon calcio, difesa pericolante e nessun rischio preso in attacco. Veder passare l’ovale da fermo, da un giocatore di livello internazionale, non fa una bella impressione, soprattutto visto il palcoscenico in cui ci si trova.

Nel frattempo Mallett aveva giocato la carta Luke McLean, anche lui oriundo. Un italo-australiano giovanissimo, già campione del mondo under 19 con la sua nazionale d’origine, chiamato a dare un senso al reparto arretrato degli azzurri. Non male, ma per competere a questo livello non può bastare. Luke è buon estremo, con un calcio potente. Non è il nuovo Chris Latham ma è decisamente meglio di quanto la scuola ovale nostrana abbia da offrire. Attualmente non ha rivali per la maglia azzurra numero 15.

Adesso è il turno di Gower, che se continuerà a giocare come visto nei due test con l’Australia e nella fantastica sconfitta con la Nuova Zelanda (fantastica perché abbiamo concesso solo 3 mete ai tuttineri e finalmente abbiamo visto i nostri 3/4 giocare) avrà il numero dieci tatuato sulla schiena per un bel po’. Forza Italia, C’mon Italy.

 

Giorgio Pontico

 

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One response to “Italiani, popolo di oriundi e di equiparati”

  1. in riferimento all’articolo del popolo degli oriundi io faccio parte del 50 per cento che tifa per gli italiani si continua a dire che bisogna ringiovanire la squadra e poi si porta agli allori giocatori che superano i 30 anni ( vedi mediano apertura nazionalizzato) si scrive che marcato non e una buona difesa ma quando ha giocato con il 15 non ha giocato male.

    inoltre non bisogna dimenticare che la sua squadra ha vinto lo scudetto 2009 e penso che la sua parte di mediano l’abbia fatta

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