Touche impossibili? Ecco il ping pong rugby

Uno spettro s’aggira per l’Europa: il noiosissimo rugby combattuto a suon di pedate. Dal Gazzettino (05.10.2008).

(di Antonio Liviero)

 

Il primo scorcio di stagione ha portato una nuovo stile di gioco in Europa: il ping pong rugby. Così lo hanno prontamente battezzato gli inglesi dopo aver assistito stupefatti a lunghi scambi di calci da fondo campo.

In sostanza: uno raccoglie davanti alla propria area dei 22 metri, si guarda attorno e, verificata l’assenza delle condizioni per contrattaccare, restituisce al mittente. Il giocatore più arretrato della squadra avversaria allora con tutta calma rifionda indietro la palla. E avanti così anche per un minuto buono, tra sbadigli e qualche fischio.

 

Di questo gioco che nel tennis definirebbero da pallettari, ne hanno ovviamente fatto esperienza, indignandosene a loro volta, anche i francesi. Qualche scambio prolungato al piede si è notato in Italia. E siccome era già apparso agli antipodi durante il Super 14, si può a ragione parlare di tendenza.

La prima spiegazione è di tipo regolamentare. Il ping pong ovale nasce da una delle recenti norme sperimentali introdotte allo scopo di aumentare il volume di gioco. La regola in questione intende inibire i calci in touche. Se una squadra fa rientrare la palla nella propria area dei 22 e spedisce direttamente fuori viene privata del vantaggio territoriale: la rimessa avverrà all’altezza del punto in cui è avvenuto il calcio. La deterrenza però ha funzionato parzialmente. Certo la palla resta in campo ma viene calciata lo stesso: in fondo, anzichè in touche.

La seconda spiegazione è tattica, legata al problema delle fasi a terra. Oggi i raggruppamenti impegnano il più delle volte 2-3 giocatori appena, liberando gli altri per costituire rapidamente un primo livello di difesa folto ed efficace. Questa barriera densa e organizzata scoraggia il lancio di attacchi da lontano. E per trovare un varco ci si affida allora al gioco al piede più paziente. Infine pesa un fattore mentale. Una certa ritrosia creativa dei giocatori: tentennano, non vogliono la responsabilità del rischio.

 

Poche squadre, come il Tolosa, hanno trovato soluzioni interessanti sui rilanci. I rossoneri allenati da Novès, applicano con qualità il principio di alternanza degli assi d’attacco, grazie all’abilità nel trasmettere la palla un attimo prima del contatto o sul placcaggio. Quando invece si gioca a terra entra in funzione un rapido sistema di sostegno e pulizia. Uno dei problemi in situazioni del genere, per dare continuità all’azione, è la gestione dei raggruppamenti nel proprio campo. E il rischio di essere sanzionati dall’arbitro. Per conservare il possesso c’è la tendenza dei sostegni a tuffarsi, o lasciarsi cadere, al di là del pallone, rendendo impossibile il recupero all’avversario. Ci sono arbitri che, giustamente, puniscono con inflessibilità questo fallo, facendo distinzione dal sostegno che inizialmente resta invece sui propri appoggi e cade solo dopo aver fatto "pulizia" sul difensore. In effetti l’affrontamento tra due squadre al di sopra della palla, in cui quella che avanza può liberare il pallone per giocare velocemente, è l’essenza della mischia aperta. L’ostruzione ne è il nemico. Tuttavia non mancano direttori di gara, assai più che in passato, tolleranti con bridging e tuffi. In questo modo rendono difficile recuperare il pallone. Ed è anche per questo che tante squadre in opposizione preferiscono non impegnare inutilmente giocatori nelle fasi al suolo. E li schierano sulla linea rendendola difficile da attaccare.

La questione è aperta. Già la discrepanza di interpretazione arbitrale è una questione molto spinosa e sentita dagli allenatori, specialmente nelle partite internazionali. Figuriamoci quando riguarda le fasi a terra, punto cruciale del gioco attuale.

 

 

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