PER SOGNARE INSIEME

La lettera di Paolo

Ciao amico,

a dir la verità ho già scritto molto sull’argomento e spesso ho paura di ripetermi. Ti allego un breve resoconto della mia esperienza congolese, di come mi sono avvicinato al rugby e quali sono le mie speranze o illusioni. Alcune cose le avrai già lette nell’articolo scritto sul Corriere della Sera, altre non sono state riportate e penso possano darti degli spunti, in ogni caso chiedimi tutto quello di cui hai bisogno e vedrò di completare ogni informazione.

Ormai abito da quasi tre anni nella "Repubblica" del Congo (ex colonia francese) esattamente a Pointe Noire, seconda città del paese dopo Brazzaville, la capitale. Il paese a tutti gli effetti è in ricostruzione dopo la guerra civile del 1998 che ha lasciato molte macerie, povertà ma soprattutto moltissimi mutilati ed orfani. Dal 1999 è al potere Sassou NGuesso che di recente ha stravinto le ultime elezioni con quasi il 90% dei voti. Nel Congo si stimano circa 2 milioni e mezzo di abitanti anche se chiaramente non risulta semplice fare un censimento reale in quanto i collegamenti e i mezzi di informazione sono poca cosa e si trovano solo nei grandi centri, al di fuori ci sono solo foreste e zone non facilmente raggiungibili, alcune quasi inesplorate, visto la totale assenza di strade. Anche per le stesse forze armate del Presidente ci sono luoghi che non possono raggiungere in quanto ritenute pericolose e non sotto-controllo, serbatoi di rivoluzionari e di forze anti-governative. Il paese è ricco di risorse minerarie, dall’oro, all’argento, zinco, silicio, magnesio, diamanti e soprattutto petrolio. Questo spiega la presenza di Eni in questo paese e di conseguenza la mia!

Come sono arrivato qui in Africa Centrale?
Ho giocato 26 anni a rugby, sono cresciuto rugbisticamente a Treviso dove ho giocato dai 7 ai 16 anni. Ho giocato 3 anni a Novara (C2 e C1), ho giocato in tutto 7 anni a Milano (ex MAA) in serie B, a Piacenza con i Lyons 5 anni (tra A1 e A2) e Parma (1 anno in B e uno in A2). Dopo tutti questi anni di rugby ma soprattutto dopo aver capito che non potevo più dare qualcosa a livello agonistico ho deciso e provato a cambiare la mia vita di tutti i giorni dando quindi anche una svolta a quella professionale. Mi sono così reso disponibile per un’eventuale esperienza estera e la compagnia per cui lavoro mi ha proposto il Congo, paese dove ora vivo.

Sono arrivato qui in Congo il 4 Gennaio 2000 e dopo un primo periodo di ambientamento (durato circa 6 mesi) mi sono chiesto, visto la forza massiccia di espatriati francesi, se esistesse una squadra o almeno qualcuno che si allenasse con una palla ovale. Ottenuta qualche informazione mi sono presentato, un sabato pomeriggio, in un campo spelacchiato, senza pali e senza segni palpabili che facessero credere di trovarsi di fronte ad un terreno d’allenamento e scopro una quindicina di ragazzi, tra cui 5 o 6 indigeni, correre e divertirsi dietro una palla ovale.

Inizia così la mia esperienza rugbistica in questa terra primordiale ma tanto affascinante e ospitale. Visto il livello di gioco, ho iniziato, quasi da subito, a dare consigli affiancandomi ad un altro espatriato francese che ha giocato, per parecchi anni, in serie A nel suo paese. Dopo alcuni allenamenti il numero dei ragazzi locali è aumentato e l’entusiasmo cresceva di allenamento in allenamento.

Da subito scopro una dedizione e una disponibilità al sacrificio enorme. Nessuno di questi ragazzi congolesi lavorava o disponeva di mezzi per venire ad allenarsi. Erano e sono disposti a percorrere chilometri e chilometri a piedi pur di non rinunciare ad un appuntamento sul campo e altrettanto per ritornarsene a casa, se casa si può definire. I fortunati, al loro ritorno, si bevono una tazza di latte e poi a nanna, per non sentire i morsi della fame.

Da buon ex rugbista mi presentavo all’allenamento con maglia da gioco, pantaloncini ecc…, insomma tutto quello che avevo sempre considerato necessario. Spesso le cose che tu ritieni scontate ti rendono cieco e solo la dura realtà ti ridona la vista; Dopo qualche allenamento mi rendo realmente conto di cosa indossavano: niente più che un paio di pantaloncini o un costume da bagno racimolati chissà dove!?! Scarpe? Mai viste. maglie? una sola da usare per andare in cerca di lavoro e per la vita di tutti i giorni. Mi vergognavo per quello che avevo e per tutte le volte che non mi sono reso conto di essere una persona fortunata! Cosa fare? La prima cosa è stata quella di prendere le maglie "in più" che mi ero portato per regalarle, ma… non bastavano!!!

Mi venne così l’idea di scrivere un articolo e di chiedere al mio amico Properzi se poteva pubblicarmelo sul sito internet che lui tutt’ora segue. (www.rugby.it)

Con grande entusiasmo accetta ed è il primo che ottiene e mi mette a disposizione moltissimo materiale da portare qui in Congo attraverso la squadra in cui milita. Da quel momento le e-mail arrivano a decine e decine, moltissima gente disposta a privarsi anche solo dell’unica maglia in loro possesso per "vestire" questa triste realtà.

Per citare un caso su tutti, mi scrive un arbitro dichiarando di possedere poco ma che era disposto ad inviarmi uno dei due fischietti che utilizzava per dirigere le partite di campionato di serie C.

L’articolo viene letto anche da Antonio Raimondi, redattore di Tele Più, che mi propone l’idea di inviare due giornalisti per realizzare un reportage e per raccontare il rugby come viene vissuto qui in Congo. I due inviati, Martina Maestri e Alessandro Melchionda, sono stati capaci di immedesimarsi immediatamente nello spirito presente in questi ragazzi ed a descriverlo perfettamente.

Dalla prima volta che il reportage è stato trasmesso è passato omai più di un anno e da quel giorno, grazie anche al fatto che è stato ritrasmesso più volte, non ho quasi più il tempo materiale per rispondere a tutte le e-mail che continuano ad arrivarmi.
In pochissimo tempo sono riuscito a racimolare più di 500 Kg di materiale che ho già provveduto a trasportare e distribuire, grazie all’aiuto della società per cui lavoro. Tra le tante cose pervenute c’era anche materiale per bambini. Cosa farne? A chi dare tutte quelle magliette, quelle scarpine… Una squadra di bambini non esisteva ma non me la sentivo di deludere chi si è tanto impegnato per farmi avere del materiale in loro aiuto.

Mi venne così un’idea: chiedo a qualche giocatore della squadra che allenavo di portare una domenica mattina una ventina di bambini al campo da rugby in modo da poter fare qualche foto da mandare in Italia e per poi regalare il tutto. Sapevo che quello non era il fine ma sapevo anche che a tutti quei bambini faceva comodo avere qualche indumento in più! Per far comunque delle belle foto bisognava farli giocare con la palla ovale e… mi sono letteralmente entusiasmato!!! Tanti piccoli bambini denutriti che correvano e si divertivano tantissimo con questa palla che per i più sembrava una noce di cocco o un pallone schiacciato probabilmente da una persona molto grassa!?

Da quel giorno decisi di iniziare ad allenarli senza sapere come e per quanto. Sono passati ormai parecchi mesi e il gruppo è sempre presente, sono solo una quarantina, dagli 8 ai 12 anni, e dico solo perché purtroppo ne ho dovuti rifiutare più di un centinaio. Mi risulta impossibile allenare da solo così tanti bambini e non posso pretendere che altri espatriati siano disposti a sacrificare i rari momenti liberi, alla propria famiglia. La mia, e di questo ne sono assolutamente orgoglioso, mi asseconda ma soprattutto condivide con me questa esperienza e questo entusiasmo.

Le spese da sostenere sono parecchie e sono totalmente a mio carico. Mancano medicinali, se qualcuno si fa male provvedo con le mie risorse a fornire assistenza ospedaliera (nessuno ha la possibilità economica per curarsi), compro da bere per dissetarli durante l’allenamento, il gelato, qualche volta, per ripagarli della gioia e dell’affetto che mi dimostrano, pago i taxi perché vengano riportati a casa ecc…

Tutto questo però non basta, mi sono reso conto che, in Africa, la cosa più importante che puoi dare non è nulla di materiale, non sono i soldi, per assurdo non i medicinali o il cibo, anche perché non potrei da solo curare o sfamare l’intero Continente, quello che però ciascuno di noi può donare, con un riscontro oggettivo, sono le emozioni, l’entusiasmo, la speranza, ma soprattutto il SOGNARE!

Molti di loro non hanno mai visitato la città in cui vivono, non conoscono i confini del loro paese, l’Europa, l’Italia, la Francia… nomi che per loro non rappresentano nient’altro che il benessere visto che, e questo lo sanno bene, noi mundelè (bianchi), siamo tutti ricchi e possediamo macchine grandi e case bellissime! Gli aerei li vedono solo volare sopra le loro teste, non pensano che possano esistere delle strutture ospedaliere che curino i malati, che esistano medicinali in abbondanza e a costi accessibili per tutti se non addirittura forniti gratuitamente dall’assistenza sanitaria nazionale! Una volta sola ho visitato una struttura "ospedaliera"… tragico indescrivibile, spaventoso ma soprattutto triste! Non esistono porte, finestre, letti, lenzuola (a cosa servirebbero?!), medicinali!

Chi ha la possibilità acquista il necessario in farmacia e lo porta direttamente al medico al quale chiedi di essere curato con la presenza di un parente perché, visto la situazione stessa dei medici, potrebbero sostituire la medicina con della semplice acqua zuccherata per poi vendere il prodotto farmaceutico ad altri! Quanta gente sdraiata a terra ad aspettare solo di morire, a pregare di morire per interrompere le loro sofferenze. Quanti poi i bambini e gli adulti poliomielitici sbattuti in strada a chiedere l’elemosina? Cosa posso fare o meglio cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per aiutarli?

Farli sognare… questo si! Nessuno me lo potrà mai impedire ed è proprio questo che ho intenzione di fare!!! Voglio portarli una settimana in Italia, voglio farli viaggiare nell’aereo che di solito vedono solo passare sopra le loro teste, voglio vestirli tutti uguali, come un vero gruppo sportivo, voglio dar loro delle borse con magari il nome della squadra impresso e per cui esserne fieri, ( il nome ancora non è stato dato, cosa serve visto che comunque è l’unica di tutto il Congo) , voglio farli dormire in letti confortevoli (basterebbe solo dire letti!), voglio farli mangiare al ristorante ma soprattutto voglio regalar loro la sensazione che solo lo sport ti può dare, voglio vederli giocare e divertirsi in mezzo a tantissimi bambini che sono sicuro vorrebbero condividere insieme la stessa emozione, voglio che, una volta ritornati in Africa, credano in qualcosa e lottino per averla senza accettare passivamente quello che la vita, ma soprattutto la politica, sta loro offrendo, voglio che, anche se fosse la sola ed unica volta, possano conservare un ricordo che ne la fame, ne il dolore, ne la morte, può loro togliere!

Per questo ho bisogno di tutti voi, cerchiamo di vivere e di partecipare tutti insieme alla realizzazione di questo SOGNO COMUNE! Spesso si fanno donazioni per sentirsi coinvolti in problematiche lontanissime da noi senza aver poi la possibilità di verificarne l’esito, adesso, realmente, possiamo verificarlo vedendo forse questi bambini correre, insieme ai nostri figli, con una palla ovale in mano.

Grazie ancora per l’aiuto che state cercando di darci e per l’intenzione di assecondare le idee e le speranze di un idealista matto e illuso come me!

Paolo Familiari


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